
“La piazza c’era. Ora tocca al Governo cambiare registro”. Intervista a Roberta Vannini (UIL Scuola RUA Campania)
«Ieri c’erano cinquantamila persone tra iscritti al sindacato, lavoratori, semplici cittadini e perfino studenti a protestare contro merito e metodi della politica del Governo. Non ci può più essere alcun dubbio sul disagio che sta vivendo il mondo del lavoro e quello meridionale in particolare. Ora tocca al Governo decidere se continuare ad andare avanti a testa bassa o decidere di fermarsi ad ascoltare. Noi, naturalmente, non resteremo a guardare». A parlare è Roberta Vannini, segretaria generale della UIL Scuola RUA della Campania, la più grande delle organizzazioni che rappresentano i lavoratori della scuola in Campania. «La Uil ha iscritti, delegati ed RSU in tutte le scuole della Campania. Quando parliamo di disagio dei lavoratori lo facciamo a ragion veduta, non per una presa di posizione ideologica ma per le sollecitazioni che ci arrivano ogni giorno da ognuna delle scuole dove siamo presenti».
Vannini, torniamo alla manifestazione. A quanto pare è soddisfatta della riuscita, ma a questo punto cosa vi aspettate?
«Che il Governo si renda conto che salari, salute e sicurezza e la necessità di contrastare la precarietà sono le priorità su cui concentrarsi. E che l’unica maniera per ottenere dei risultati è dialogare seriamente con chi quei problemi li vive ogni giorno»
In concreto a cosa pensa?
«Le parlo dal mio osservatorio principale che è il mondo della scuola nella Regione Campania. Qui il cambio di passo è necessario. Ci aspetta il taglio di centoquaranta scuole autonome che verranno accorpate ad altre per rispettare dei parametri che tengono conto solo delle compatibilità di bilancio dimenticando uomini e donne che stanno dietro i numeri. Il risultato è che già da settembre il numero di scuole con Dirigenti Scolastici e DSGA a mezzo servizio è destinato ad aumentare mentre è chiaro a tutti che quella è una delle piaghe da combattere per risolvere problemi che non sono solo della scuola.»
Cosa intende?
«Save The Children, nel suo rapporto annuale, ci dice che la nostra regione è al primo posto nella classifica della dispersione scolastica con il 19,8%. Ancora: per due giovani che trovano un lavoro di qualità nemmeno eccezionale, ce ne sono tre che smettono di cercarlo e di formarsi per trovarlo un domani, entrando nel limbo dei NEET, quelli che non studiano, non lavorano e hanno smesso di sperare di poterlo fare un domani»
Cosa si dovrebbe fare secondo lei?
«Per esempio, se nascere al sud significa perdere di fatto un anno di scuola perché mancano le infrastrutture e le risorse per il tempo pieno, mi pare che possa essere un buon punto di partenza lavorare per estenderlo e riallinearci con la media nazionale. Fare in modo che un bambino campano recuperi quelle 200 ore annue in meno rispetto ai suoi coetanei del nord. O ancora lavorare sulle infrastrutture, ma seriamente. Nel meridione il 56% degli edifici scolastici necessita di interventi urgenti e restano troppo pochi i servizi legati al trasporto scolastico, alla mensa. Sono duecentomila i ragazzi che in campania non ne usufruiscono. 170mila non hanno palestra. E poi c’è una questione meridionale nella questione della scuola.»
Spieghi.
«Lavorare nella scuola è sempre meno gratificante, sia socialmente che economicamente, e la scelta di farlo riguarda sempre più uomini e donne del sud Italia. Già con la “buona scuola” saltò agli occhi la quantità di docenti costretti a trasferirsi a centinaia di chilometri di distanza, magari con famiglia a carico, per ottenere un’assunzione attesa anche per vent’anni. Il precariato non venne sconfitto, anzi oggi continuano ad esserci oltre duecentomila supplenti annuali, precari della scuola che l’amministrazione continua a non voler stabilizzare nonostante anni di servizio nella stessa posizione e spesso perfino nella stessa scuola. Aggiunga che di questi duecentomila supplenti quindicimila sono campani che trovano la supplenza restando in Campania, ma altrettanti sono campani che devono per forza cercare in altre regioni, senza contare calabresi, siciliani, pugliesi, abruzzesi, insomma meridionali che rappresentano i due terzi dei precari storici che in un modo o nell’ altro fanno funzionare ogni anno la scuola, soprattutto quella del nord»
Insomma per lei non c’ è che l’ imbarazzo della scelta. Non pensa che il progetto di autonomia differenziata del Governo possa aiutare l’amministrazione a mettere a fuoco i problemi dei territori che forse da Roma appaiono confusi o sfocati?
«L’autonomia differenziata sarebbe il colpo definitivo alla scuola meridionale»
In che senso?
«Già ora, senza autonomia differenziata, Lo SVIMEZ ci dice, dati alla mano, che esistono due scuole in Italia: quella del nord Italia e quella del centro sud. Se venisse approvato il disegno di legge di Calderoli quel gap, che ora può essere affrontato e risolto da un Governo capace di comprendere la portata del problema, sarebbe destinato a diventare strutturale. Non è un caso che dalla Campania siano arrivate oltre diecimila firme per sostenere la proposta di legge del professor Villone e del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale che ora dovrà essere discussa in Parlamento e che dice l’ esatto contrario di quello a cui sta lavorando il Governo»
Norberto Gallo, napoletano, insegna Storia e Filosofia nei licei dal 1997. Giornalista, ha collaborato con numerose testate giornalistiche, televisioni e radio locali.
Nel 2002 ha fondato e diretto napolionline.org, testata giornalistica sulla politica napoletana della seconda repubblica. Al suo attivo numerose interviste con i big della politica locale e nazionale: Antonio Di Pietro, Antonio Bassolino, Piero Fassino, Mara Carfagna, Luigi De Magistris, Roberto Fico, Gianni Lettieri e tanti altri.
Sindacalista della scuola, si è occupato di legislazione scolastica, di contrattazione sindacale, di precariato e del quadro delle riforme della scuola nell’ ultimo ventennio