In una contrapposizione in cui le parti coinvolte rivendicano diritti e opportunità, non sempre stabilire chi ha ragione e chi ha torto (o meno ragione) è una questione di giustizia. Potrebbe essere anche una questione semantica: cioè, occorre intendersi sul significato delle parole in ballo. È il caso della protesta che di recente ha acceso gli animi dei docenti di sostegno precari e le pagine dei giornali che hanno pubblicato lettere di botta e risposta sul tema. Il discorso si può riassumere più o meno così: da una parte le rivendicazioni di merito dei docenti che hanno conseguito la specializzazione in Italia, dall’altra le rivendicazioni di merito dei docenti italiani che si sono specializzati con “titolo estero” (principalmente spagnolo e rumeno), e da un’altra parte ancora le rivendicazioni di merito dei docenti non specializzati che hanno prestato servizio su sostegno senza titolo per almeno tre anni e che adesso avrebbero la possibilità, proprio in virtù di questo servizio, di frequentare il percorso di specializzazione italiano senza affrontare le tre prove selettive per l’accesso. Dov’è qui il problema semantico? È nel significato su cui occorre intendersi quando parliamo di merito. Questione non da poco in un Paese che ha la fortuna, ma anche la responsabilità, di avere un Ministero dell’Istruzione e del Merito.

Vediamo di capirci qualcosa con una sintesi. I docenti con titolo estero vorrebbero parità di diritti e di opportunità rispetto ai colleghi con titolo italiano, da parte loro i docenti con titolo italiano non vogliono saperne di stare in graduatoria a pari merito coi docenti specializzati in Spagna e Romania. Capire cosa è merito e cosa non lo è, consentirebbe di dipanare questa matassa con estrema facilità. Se, per fare un esempio, consideriamo merito l’aver raggiunto un risultato attraverso un percorso di crescita selettivo, allora basterà sapere se i titoli conseguiti in Spagna e in Romania sono o non sono nella sostanza (e soprattutto nell’interesse degli alunni con disabilità) equiparabili a quelli italiani (con prove di accesso selettive e formative, laboratori, tirocinio in classe per cinque mesi e pieno riconoscimento dei titoli nei rispettivi Paesi).

Se la risposta è sì, allora gli specializzati che hanno preferito i percorsi spagnoli e rumeni hanno merito, con buona pace di chi ha il titolo tricolore in tasca. Stesso discorso per l’altra rivendicazione: se l’aver prestato servizio per almeno tre anni equivale, nell’interesse degli studenti con disabilità, alla procedura selettiva e formativa delle prove di accesso alla specializzazione italiana, allora i cosiddetti triennalisti hanno merito.

Tutto qui? Non proprio. Intendersi sul senso da dare alla parola “merito” sarebbe già un passo in avanti notevole, tuttavia non sufficiente: occorre, dopo, passare dalla parola ai fatti, dal merito come riconoscimento al merito come pratica (di civiltà). Perché, in definitiva, è proprio il fare che dà senso al dire, alla parola. Pensiamo, ad esempio, a quello che è capitato a migliaia di docenti precari che, in fase di inserimento nelle GPS per il biennio 2022/2024, hanno visto rigettato il riconoscimento dei titoli posseduti alla data di scadenza per un mero errore materiale, segnalato con opportuno e immediato reclamo. Errore materiale, peraltro, generato anche a causa di un nuovo sistema informatizzato che, erroneamente, ha considerato il sostegno come un’autonoma classe di concorso, pretendendo la ripetizione della dichiarazione dei titoli già dichiarati per ogni classe di concorso anche per il sostegno. E così a molti docenti precari in possesso di titoli validi per più classi di concorso sono stati attribuiti punteggi diversi e minori per il sostegno rispetto alle altre classi di concorso, con la conseguente perdita della posizione in graduatoria e dunque della cattedra. È vero, il Ministero è intervenuto nella correzione degli errori, ma si è limitato agli errori generati dal sistema informatico, ignorando tutti gli altri, seppur tempestivamente segnalati. Ed è per queste regioni che le attuali graduatorie hanno un alto livello di approssimazione e non risultano realisticamente costruite su criteri meritocratici, a danno del merito degli insegnanti e del diritto dei disabili ad avere docenti scelti su base meritocratica. Gli Uffici Scolastici Regionali e i relativi Ambiti Territoriali Provinciali, da parte loro, non hanno seguito uniformità di comportamento nel riconoscimento e nella correzione degli errori: in alcune regioni e/o province sono stati accolti i reclami dei docenti precari e corretti i punteggi, in altre regioni e/o province invece i reclami sono stati rigettati, lasciando molti insegnati senza cattedra e la parola merito senza senso.

Per concludere, citiamo un articolo stampa di “scuolainforma” del 04/09/2022 in cui si parlava di un emendamento al Decreto Aiuti Bis: “GPS, punteggio doppio per i supplenti che hanno prestato servizio con titolo di specializzazione”, presentato dai senatori Andrea Causin e Marinella Pacifico (Gruppo Misto); l’emendamento poi non passò; noi lo citiamo soltanto per mostrare che anche la politica aveva preso in considerazione gli insegnanti di sostegno con titolo di specializzazione (naturalmente italiano), attribuendo alla loro specializzazione un elemento di distinzione concreto, ovvero il doppio punteggio degli anni di servizio all’interno delle GPS.

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