Le uscite didattiche rivestono una funzione molto significativa all’interno di una progettazione didattica per una classe

Le uscite didattiche rivestono una funzione molto significativa all’interno di una progettazione didattica per una classe

La scuola tradizionale chiamava a sé l’importantissima funzione dell’insegnamento, i docenti svolgevano dunque il compito di “lasciare un segno” nei propri discenti, trasmettendo il loro sapere. Oggi, però, le è richiesto qualcosa di più. Ciò in considerazione delle funzioni che la scuola italiana ha assunto dal 2007, con il D.M. 139 del 22 agosto 2007, quando ha fatto proprie le normative europee sulle competenze chiave, di base e di cittadinanza attiva. Oggi la scuola deve rivestire il ruolo di ente di formazione e, quindi, deve essere capace di trasmettere un sapere e un saper fare col fine ultimo di dare forma ad un saper essere. Per onorare tale fondamentale ruolo per l’intera società non basta più l’insegnamento fine a se stesso, ma si rende necessario arricchire tale concetto con quello di educazione. E se, dunque, con il primo si ha l’intento di trasmettere qualcosa all’interno dei discenti, qualcosa che prima essi non possedevano, con il secondo ci si pone la finalità di “condurre fuori” dei saperi e delle capacità che già appartengono all’altro, affinché possano arricchirsi e rafforzarsi in competenze. Perché tale impegno sia attuabile è necessario sperimentare nuove vie rispetto a quelle tradizionali, che consentano ai discenti non solo di appropriarsi del nuovo ma anche di scoprire le proprie potenzialità idiosincratiche nel mondo, attraverso la realtà e la concretezza della propria esperienza.


Le uscite didattiche/il fuori classe, alla luce di quanto detto, assumono allora un significato diverso rispetto a come spesso sono intese: non più come gita-premio per classi meritevoli, ma banco di sperimentazione della realtà e del proprio sé nel mondo. Qualcuno potrebbe considerare che la scuola ha già fornito una risposta a tali esigenze attraverso l’alternanza scuola-lavoro, oggi PCTO. In parte, non si può dissentire, certo. Tuttavia, va considerato che i PCTO sono riservati ai trienni, lasciando i bienni, anni fondamentali per la crescita, al di fuori di un così importante intento formativo. Inoltre, tali esperienze, seppure imprescindibili nel percorso scolastico, sono concentrati sulla sperimentazione di una parte della realtà, quella lavorativa. La complessità del compito che la scuola è chiamata a svolgere, però, è molto più ampia: le si chiede di dare forma alle generazioni future, di trasmettere i valori civici fondamentali, quello d’inclusione, di responsabilità, di consapevolezza, di autonomia, di partecipazione, di capacità imprenditoriale, di comunicazione, di progettazione, e così via, soprattutto quello d’imparare a scegliere per sé e per gli altri. E come si può chiedere di operare una libera scelta se prima non si dà la possibilità di costruirsi valide alternative?

Tale può essere inteso il valore aggiunto delle uscite didattiche/del fuori classe, che attraverso la sperimentazione del sé in svariati contesti reali può far emergere una consapevolezza arricchita da nuove istanze affiorate, ed anche scoperte in alcuni casi, attraverso l’esperienza. La conoscenza della realtà e la consapevolezza di sé sono gli oneri più complessi a cui la scuola deve rispondere e l’unico modo per onorarvi è quello di rivolgersi alla complessità attraverso un approccio interdisciplinare, trasversale, differenziato, flessibile ed integrato secondo un approccio di didattica attiva, ispirata alla responsabilizzazione degli alunni che partecipano in modo attivo e personale al proprio percorso, interagendo all’interno delle dinamiche d’insegnamento-apprendimento. Perseguendo tali intenti attraverso una prospettiva attiva del processo didattico emergono risposte positive.

Gli studenti risultano maggiormente coinvolti nel proprio percorso formativo, in quanto si favorisce la naturale curiosità di ciascuno e, quindi, la partecipazione consapevole. La sperimentazione si basa sul porsi domande e, dunque, la formazione e la crescita possono intendersi come processi di ricerca e di scoperta: partendo da ciò che lo circonda, lo studente sperimenta se stesso e gli altri nel mondo in modo attivo e personale. Apre gli occhi su una realtà di cui non si conosceva l’esistenza o che si riteneva troppo lontana per poter essere conosciuta, avvicinandosi al nuovo e sentendosene parte attiva. Ciò è possibile soprattutto perché lo studente diviene il protagonista del proprio percorso d’apprendimento. Si ingenera un circolo virtuoso in cui ogni studente all’interno del proprio gruppo classe è coinvolto in esperienze che attivano conoscenze, abilità e capacità, le quali, a loro volta, fanno insorgere nuove domande che richiedono nuove esperienze per ricercare possibili soluzioni. E proprio il contesto classe assume il valore di amplificatore di tale dinamica, assumendo una funzione unica, perché diviene più della somma delle singole parti. All’interno di un contesto sociale, quale il gruppo classe, ogni studente impara da se stesso ma anche dall’altro, innescando in modo naturale una dinamica di collaborazione e cooperazione, generando percorsi e conoscenze co-costruite e condivise.


La classe avvertirà allora soddisfazione dal proprio impegno, perché ciò che viene soddisfatta è un’esigenza che trova la propria origine nel personale mondo di ciascuno e sfocia in una interdipendenza positiva all’interno del gruppo classe e nella responsabilizzazione del singolo studente. Il ruolo del percorso formativo allora diviene fornire stimoli e favorire la nascita di domande al fine di risvegliare il desiderio di conoscenza. Spesso a scuola si assiste ad una dinamica differente, in cui per gli studenti le quattro mura dell’aula diventano una gabbia ed il docente un carceriere. Gli alunni non percepiscono la scuola come un luogo fatto per loro, a loro misura, ma solo come un luogo in cui sono costretti, in cui non si sentono compresi né rispettati. Allora emergono atteggiamenti di scarsa partecipazione e bassa motivazione, insofferenza, ribellione e polemica estremizzata. La scuola non è il loro habitus, la condivisione dello spazio sociale strutturato e strutturante, ma diviene un luogo dove emergono solo i doveri. Del diritto ad imparare in un tale spazio rimane solo il nome. Tale percezione, ovviamente, risulta ingiusta rispetto all’impegno e all’ottimo lavoro svolto nelle scuole italiane, dove ci si avvicina sempre più, anche se con forte gradualità, ad una didattica personalizzata e flessibile.

Gli studenti sono ragazzi, sono in piena fase adolescenziale, momento di massima sperimentazione, in cui si affrontano i limiti imposti con coraggio e un po’ di strafottenza e ribellione. Gli studenti sono ragazzi, ognuno con le proprie fragilità, con la propria storia sulle spalle, a volte già pesante, ma anche con i propri punti di forza e potenzialità. Si fa urgente allora richiamare l’impegno di noi docenti e della scuola tutta sul porci come guide per gli studenti, come facilitatori del loro personale percorso di crescita, cercando di affiancare ai validi metodi tradizionali forme più attive e flessibili di didattica, portando al centro lo studente ed il suo percorso formativo.

V. D. M.