Intervista Esclusiva| Giorgio Santoriello, rappresentante di COVA CONTRO, e oggi autore di un libro di denuncia dal titolo “Colonia Basilicata”

Intervista Esclusiva| Giorgio Santoriello, rappresentante di COVA CONTRO, e oggi autore di un libro di denuncia dal titolo “Colonia Basilicata”

Febbraio 28, 2023 1 Di Erica Talamonti

Nelle scorse settimane, in Abruzzo, ha tenuto banco sui giornali la notizia della richiesta dell’Università D’Annunzio di Chieti-Pescara di controllare la liceità del nuovo corso di laurea in Diritto dell’Ambiente e dell’Energia promosso dall’Università degli Studi di Teramo nella città di Lanciano: un argomento, l’Ambiente, che è sempre al centro dell’attenzione in un periodo storico come il nostro in cui il clima e la Terra paiono dei cavalli imbizzarriti.
UniTE non è nuova al tema, avendo lanciato nel corso del tempo sia un master che una serie di Summer School ed è proprio attraverso uno di questi eventi che dai microfoni dell’Università abbiamo conosciuto Giorgio Santoriello, rappresentante di COVA CONTRO, e oggi autore di un libro di denuncia dal titolo “Colonia Basilicata”, che sta presentando in diverse piazze del territorio nazionale.

 

Giorgio, cosa ci può dire di lei e di Cova Contro?

“Sono il legale rappresentante di Cova Contro dal 2015, occupandomi anche di gestire la parte informativa dell’associazione e di rappresentarla agli eventi ed iniziative di sensibilizzazione alle tematiche ambientali in cui veniamo invitati. Un impegno forte, visto che siamo partiti nel 2013 come associazione di volontariato per avviare un dibattito sulla stagione petrolifera lucana, capirne il fenomeno e sensibilizzare sulla questione energetica a 360 gradi, studiando impatti e dinamiche socio-economiche connesse e nel tempo abbiamo allargato gli obiettivi statutari arrivando ad occuparci di reati ambientali, contrasto alle ecomafie ed alla corruzione nella P.A., sostenere la Convenzione di Aarhus, tutelare i consumatori ed i beni comuni: da sostenitori della partecipazione dal basso attraverso la citizen science ed il giornalismo partecipato, dal 2016 al 2021 siamo anche stati iscritti al registro europeo della trasparenza e oggi siamo membri del network internazionale ECSA. Collaboriamo da anni con decine di realtà nazionali ed estere nel campo del giornalismo di inchiesta e della ricerca scientifica e sosteniamo tesisti, freelance e ricercatori nel raccogliere dati ambientali, fare raccolta dati sul campo, incontrare fonti e conoscere le dinamiche interne della regione Basilicata. Ovviamente, per poter fare tutto questo ci avvaliamo del supporto economico di simpatizzanti, sostenitori finanziari censiti e partecipando a bandi pubblici. Insomma, un gran lavoro”!

 

Dal 2013 ad oggi lei è in ballo tra volontariato, indagini e collaborazioni: ma il gioco vale la candela?

“Sì, sicuramente sì. Siamo partiti da un fenomeno preciso, che nel 2015 era quello dei “fanghi neri” che si ritrovavano alla foce del fiume Cavone, in Basilicata, e da lì si è aperto un mondo, un mondo dove abbiamo toccato con mano come le istituzioni non facciano controlli ambientali all’altezza della situazione e dove esiste sudditanza dei controllori, in molti casi, rispetto ai presunti controllati. Nonostante tutte le liti, le minacce e le pressioni che riceviamo dai Tribunali, in molti casi attraverso querele “temerarie”, vale la pena andare avanti perché comunque con le nostre analisi abbiamo contribuito a tutelare la salute di centinaia di famiglie e aiutare le vittime sia in Tribunale sia sostenendole attraverso altre forme di denuncia, come quella mediatica”.

 

Nel corso degli anni sappiamo che avete lavorato anche in sinergia con le scuole, proponendo anche un fumetto interessantissimo dal nome “Storia di una cittadina sentinella”: perché le scuole? Che reazioni ottenete, e che obiettivi avete, nel relazionarvi con i più piccoli?

“Le scuole sono centrali, ancora di più in una regione come la nostra che si spopola, quindi lo scopo è cercare di formare nuove generazioni di “sentinelle”, di guardiani del territorio, perché la tutela del territorio parte dal basso, da ogni singolo abitante e dall’impegno di ogni singola persona. E poi ci spinge anche il piacere di offrire ai ragazzi quei contenuti che nella programmazione scolastica o nei corsi di educazione civica non esistono, quali l’educazione ambientale in senso stretto: spiegare come funzionano i reati ambientali, perché si fanno, quali impatti hanno, a quali logiche rispondono e spiegare magari anche perchè non funzionano i controlli. Le scuole sono centrali non solo per trasmettere nozioni o informazioni ma soprattutto per diffondere il senso critico, per dare ai ragazzi i mezzi per poter leggere in maniera più approfondita la realtà che vivono. Noi andiamo nelle scuole a parlare dei problemi del territorio dove ricade la scuola: non parliamo dei massimi sistemi, del cambiamento climatico, delle microplastiche nell’acqua, che sono temi importanti, sì, ma lontani dalla realtà dei ragazzi. Noi parliamo dei problemi prossimi alla scuola stessa, quindi ad esempio in Basilicata parliamo di tutte le infrastrutture industriali non bonificate, delle aree ancora contaminate, della divisione sociale che porta il ricatto occupazionale che deriva dall’industria petrolifera… Noi cerchiamo di fare vera educazione ambientale nelle periferie ambientali stesse”.

 

Cosa ci può dire del libro che ha scritto? Di cosa parla? Cosa l’ha spinta a scriverlo?

“Il libro lo abbiamo scritto per una serie di motivi, anche per fare una denuncia chiara già attraverso il titolo: la Basilicata è una regione colonizzata e completamente guidata da fuori, e questo ci pare evidente.
Il libro è un atto di denuncia anche perché è uno strumento attraverso il quale si può spaziare in contesti dove con un normale sito web non si può arrivare: è stato una sorta di punto fermo, di pietra miliare, un modo per guardarsi indietro e fare una sintesi di tutto quello che si è fatto, una sorta di primo bilancio dei primi 8 anni di attività dell’associazione. Attraverso 120 fotografie abbiamo parlato non solo di tutti i reati ambientali su cui abbiamo indagato o che abbiamo scoperto in questi anni in Basilicata, ma abbiamo fatto anche una disamina anche della società, del contesto dove sono stati  possibili quei reati ambientali: è una critica alla stampa asservita ai poteri economici che hanno causato quei reati ambientali, ai conflitti di interesse tra i controllori di diversi ambiti (dalla regione Basilicata alla magistratura) e anche a quella rete di rapporti trasversali tra tutti quei “manutengoli” che sul territorio hanno permesso e collaborato, anche con la loro omertà e i loro silenzi, affinché tutti quei reati ambientali si consumassero.

 

Ma questo attivismo riguardo questo settore, non è che porti anche a conseguenze personali? Sappiamo che Cova Contro spesso ha ricevuto denunce e diffide di vario genere: non ha timore di esporsi?

“Sì, porta anche conseguenze personali. Noi siamo attivi anche con diversi avvocati, fino in ambito europeo, proprio per sostenere la libertà di espressione. Al momento, come legale rappresentante di Cova Contro, io ho 10 processi in corso, tutti per diffamazione a mezzo stampa. Il problema della libertà di stampa è un problema grave, non meno di quello dei reati ambientali, perché senza libertà di stampa non c’è neanche la possibilità di formare i giovani mostrando dati, sostenendo una coscienza critica, beneficiando di una memoria storica che non sia oggetto di censura o di minacce, e non è facile. La nostra democrazia in questo è molto debole, non solo dal punto di vista del contrasto dei reati ambientali ma soprattutto nell’ambito della libertà di espressione: in questi anni posso dire che, nonostante tutte le minacce che abbiamo ricevuto, le vessazioni principali per convincerci a non continuare in questo impegno non sono arrivate dai malavitosi o dalle aziende ma proprio dalla magistratura, che in maniera cronica ormai ci rinvia puntualmente a giudizio per ogni tipo di querela. Ad oggi, siamo stati condannati in primo grado in 4 processi, tutti e 4 appellati, e siamo stati condannati addirittura a mesi di carcere (io, come legale rappresentante) solo per aver fatto una battuta, senza fare nomi e senza usare parolacce o turpiloqui, quindi è evidente che siamo di fronte veramente ad una gravissima emergenza democratica”.

 

Parlare con lei apre il cuore, abbiamo conosciuto una persona complessa, etica e appassionata, di quelle che sanno essere un riferimento identitario per i giovani: farle i complimenti per la passione che mette in questo progetto è ancora troppo poco. Come operatori dell’educazione, vorremmo davvero che il suo esempio potesse provocare un contagio… etico. E prima di salutarci, avremmo piacere di raccogliere una sua dichiarazione riassuntiva, se le fa piacere.


“…Sì, direi: “Non bisogna mollare!”
Nonostante la strada si faccia sempre più in salita, la posta in gioco è troppo alta, perché in gioco ci sono il nostro diritto alla salute, il nostro diritto alla conoscenza, il nostro stato di diritto e la nostra libertà di espressione: sono una posta molto più alta della tranquillità personale”.