
Scuola, un bambino su cinque non sa scrivere in corsivo: l’allarme della Sapienza
Gli esperti: «Influisce lo stampatello sugli schermi di tablet e smartphone»
La pedagogia e la psicologia dell’età evolutiva sottolineano che il senso del corsivo va oltre la sua effettiva utilità pragmatica e ribadiscono quanto sia cruciale nella crescita, nel rapporto occhio-mano, nella sequenzialità delle parole che si riflette in sequenzialità del pensiero, nell’originalità del tratto e nelle competenze di analisi e sintesi in rapida sequenza. Secondo i paladini del corsivo questo tipo di scrittura abitua alla flessibilità e quel suo non permettere di staccare la penna dal foglio ha una valenza profonda nell’acquisizione di competenze basilari di ordine cognitivo e psicomotorio e di abilità manuali e di pensiero, obbligando a percepire l’insieme e il parziale in unico momento e a organizzare gli spazi.
La prima distinzione va fatta tra lettura e scrittura. Mentre si può tranquillamente saltare la prima fase, il corsivo va invece insegnato al fine di essere scritto, proprio per allenare quella serie di competenze spaziali e temporali essenziali. Del resto lo stampatello nasce per essere letto e il corsivo per essere scritto, come suggerisce la stessa etimologia di entrambi i termini. Il corsivo addestra alla velocità di pensiero dunque ed è vicino al movimento spontaneo del bimbo, oltre a favorire la sillabazione nella prima alfabetizzazione. Questo non significa che la pedagogia sia coralmente pro-corsivo, ma semplicemente significa sapere e capire quello che il corsivo insegna. Che poi si decida che esistono cose da insegnare ancora più importanti, bypassando questa fatica o spostandola nel tempo, è un altro conto.
Occorre una riflessione sull’importanza del metodo globale, che valorizza l’esperienza del bambino, e soprattutto del corsivo, quale elemento fondamentale per facilitare l’apprendimento e per la naturale inclusione dei bambini con difficoltà scolastiche. Il quadro di riferimento è quello della pedagogia attiva, con particolare attenzione al soddisfacimento dei bisogni e desideri funzionali della persona. Il pensiero e la metodologia di Jean Le Boulch nel quale elementi del sistema nervoso centrale si fondono con la metodologia didattica che punta sul valore del corpo e della sua memoria cinetica fin dalla vita intrauterina. Bisogna focalizzare il pensiero sui fondamenti dei processi evolutivi a partire dalla dimensione uditiva nella relazione affettiva, fin dalla gravidanza, la quale assume valore nei confronti della strutturazione dei linguaggi corporei e, grazie alla relazione e agli stimoli sensoriali ed emotivi, predispone all’apprendimento.
Esiste un filo che lega l’ascolto del feto al ghirigoro delle bambine e dei bambini fino alla scrittura corsiva, in un continuum fonetico e motorio che sostanzia le basi di questa metodologia. Studi scientifici affermano che nel caso di disturbi specifici di apprendimento, in particolare nel caso della disgrafia, è indubbiamente più indicato l’uso dello stampatello. E se a qualcuno la calligrafia pare una cosa antica e molto old style giova ricordare che una delle icone del terzo millennio e dell’epoca digitale ha iniziato proprio da lì. Si chiamava Steve Jobs e al tempo in cui frequentò il corso di calligrafia al Reed College la calligrafia era già fuori moda. In quelle aule imparò l’arte di saper fare bene e di mettere cura in ogni tratto di penna, senza errori, senza sbavature, con eleganza e con leggerezza. Fu così che Jobs scoprì il Rinascimento italiano e da lì in poi non smise mai di cercare la bellezza della perfezione.

Gioconda Martucci, docente scuola primaria, pedagogista clinico, precedentemente tutor presso il Tribunale dei minori di Roma e Vicepresidente Associazione Trasparenza è Partecipazione