
Dopo 42 anni di servizio, sono andata in pensione lo scorso Settembre e il mio saluto alla Scuola riassume il senso del vostro post inerente gli Open day
Salve, ho scoperto solo oggi la vostra pagina su fb, condivido ogni singola riga che scrivete.
Dopo 42 anni di servizio, sono andata in pensione lo scorso Settembre e il mio saluto alla Scuola riassume il senso del vostro post inerente gli Open day, eccolo:
Era il 9 Settembre 1980.
“Cosa resterà di questi anni 80?” Gabriele.
Per me, resta Gabriele e tutti i Bambini, le Bambine che mi hanno attraversato ogni lembo di mente e cuore.
Oggi, i miei primi alunni cinquenni sono brizzolati, quasi cinquantenni.
Gabriele, occhioni neri, visetto magro incorniciato da una chioma fluente, ma trascurata, capelli lunghi, biondi, spessi, se ne intravedeva la bellezza.
Lo sguardo era curioso, consapevole, gentile e triste.
Gabriele era uno di quei Bambini sfollati del sisma dell’80: nel mio paese fu istituita una Sezione di Scuola dell’Infanzia destinata ai “terremotati” ed io, ventenne, giovane vincitrice di concorso, fui assegnata proprio lì, dove ci incontrammo per la prima volta.
Gabriele viveva con il nonno malato e la madre prostituta.
Una Bambina, vicina di casa, mi disse che Gabriele, la sera, andava in cortile e mangiava nella ciotola del suo cane.
Ai tempi, ogni mattina, all’ingresso, i Bambini che usufruivano della mensa scolastica, stringevano tra le mani un fogliettino, era il buono staccato da un libretto di venti, acquistato dalle famiglie.
Quel fogliettino Gabriele non lo stringeva mai, non l’aveva e, un bel giorno, gli dissi che la sua mamma, quei bigliettini, li aveva consegnati tutti a me per cui poteva rimanere a Scuola per pranzo.
Al momento della merenda, tutti mangiavano il panino, Gabriele si rifiutava, lo portava al nonno malato.
Gabriele mi ha insegnato ad essere madre prima che lo diventassi ed ogni mese di Giugno, per tre anni, mi si lacerava il cuore lasciarlo.
In estate, mi capitava di pensare a lui.
Un giorno, a distanza di anni, all’uscita di un supermercato, vidi un giovane bello, alto, robusto, corrermi incontro, ebbi un attimo di timore, ma lui, Gabriele, mi abbracciò forte forte, lungamente.
Poi, mi sussurrò “Grazie, Maestra” e scappò.
Lasciò qualche lacrima sulla mia giacca, da Bambino non l’avevo mai visto, sentito, piangere.
Conobbi, solo in quel momento, le sue lacrime “fisiche”.
Gabriele, il mio imprinting nella Scuola.
Totalizzante.
Speciale.
Da allora, sono stata sempre alla ricerca di percorsi che aiutassero i Bambini a diventare “GRANDI ADULTI” e, in quegli anni, nella Scuola, senza avere incarichi, si progettava, si lavorava, ci si confrontava alla pari, non si segnavano ore eccedenti.
Quando si allestiva per qualche evento o iniziativa, si rimaneva anche 12 ore di fila e non esistevano fondi incentivanti.
Non sono stata la maestra delle canzoncine e delle favole canoniche, ho sempre cercato di contestualizzare il curricolo, di tradurre la realtà ad altezza di Bambino.
Come quella volta che, nel 2003, mentre stavamo organizzando la recita di Natale, un Bimbo mi chiese del perché, lontano lontano, erano morti tanti soldati italiani.
Lo aveva visto in tv.
Nassyria.
Gli risposi che quei soldati coraggiosi erano dei supereroi impegnati ad aiutare e salvare dei Bambini come lui in un paese dove c’era la guerra.
Proposi, allora, di inserire nella scaletta, un tributo che li ricordasse e fu così che elaborai una coreografia sulle note di “Imagine” di Jhon Lennon che tradussi e che ognuno dei Piccoli imparò a memoria, consapevole del significato.
Fu coinvolgente, emozionante, quasi terapeutico per tutti.
E di cose così se ne sono susseguite: pur non esistendo tecnologie avanzate e alla portata, tipo smartphone, raccoglievo materiale, foto, realizzavo e montavo video in VHS che poi si proiettavano al cine -teatro Ariston come sfondo alle esibizioni dei Bambini, alle quali partecipavano tutti, anche Dirigenti di altri Circoli Didattici e i Rappresentanti delle Amministrazioni a qualunque colore appartenessero.
Non esisteva ancora l’Autonomia scolastica e non esistevano i social, ma ancora esistono le immagini, le video cassette impolverate e i ricordi che sfogliano ingialliti e innumerevoli articoli di Giornale.
Un periodo, quello, in cui la Scuola e la cultura avevano un peso specifico importante, si credeva nel cambiamento e la passione era il filo conduttore:
sarò eternamente grata ad ogni collega e ad ogni Dirigente da cui ho imparato, con cui mi sono confrontata, approfondendo metodi, contenuti e temi umani e con i quali ho realizzato imprese meravigliose, quasi impossibili, erano all’avanguardia per quei tempi.
Ma da “qualche” anno la Scuola è stordita, ha smarrito la lucidità, ha sdoganato un linguaggio
aziendale, l’enfasi di test, numeri e cifre ha preso il sopravvento sul significato di insegnare ed educare, un declino inarrestabile collegato anche alla crisi della società ed al contagio di una politica sorda, inadempiente e arrogante.
L’ipocrisia burocrate di sterminate iniziative, impresse a caratteri cubitali, su manifesti colorati, lasciano poche parole per formulare un minimo di pensiero, nessun tempo disteso per fermarsi e pensare, solo l’affanno per districarsi nella soffocante giungla delle sigle di un’allucinante burocrazia, la Scuola del tempo perso, speso per “le carte a posto” anche di attività e miriade di progetti “utili” a chi li fa, salva qualche rara, dovuta e famosa eccezione, quella che conferma la regola.
La Scuola è diventata un labirinto di sigle, è una Scuola che teme le parole, quelle vere, i silenzi dei collegi sono imbarazzanti (tranne qualche show organizzato), troppi scudi, poche spine dorsali anche dinanzi ad allusioni pungenti, mortificanti, inadeguate, derivanti da non verificate e fuorvianti voci di corridoio, che colpiscono la vittima di turno.
Ai collegi si ratifica, sono conferenze di servizio, punto.
Un male generalizzato.
Alla faccia del pensiero critico che la Scuola dovrebbe promuovere, il pensiero dominante è strutturare dei rapporti innocui, politici: meglio essere accomodanti, amichevoli, complici, anzichè competenti e meritevoli.
Se parli, scrivi ed esprimi il tuo dissenso, capita che ti si attribuisca “La sindrome della superiorità illusoria”, con sottotitolo “quando gli incompetenti si credono geni”, un deficit metacognitivo, “effetto Dunning- Kruger”, chi ne soffre sarebbe molto sicuro di sé.
Io, per capire, da “Uno Bravo” ci sono andata, pare soffra dell’esatto contrario.
Me lo ha anche certificato.
La sindrome del passo avanti, dei punti esclamativi, dell’autocelebrazione e la ricerca di consensi personali, documentati anche nella vetrina social, non mi appartiene, mi provoca disagio.
Da sempre.
Oggi, nella Scuola, restare intorno alla “neutralità” significa non subire il cerimoniale delle pratiche infami, significa benefit, ma significa anche rinunciare alla propria funzione e quindi a se stessi e credo che abbassare la testa, adottare scelte di comodo, nella visione premiante “del quieto vivere”, rappresenti incoerenza e il peggiore insegnamento che si possa offrire.
Una volta, in estate, pensavo alle sorti di Gabriele, in seguito sono stata in ansia per le mie, sul dove e con chi mi avrebbero “sbattuta” a Settembre.
E non perchè mi sia mai sentita dalla parte giusta, ma diversa.
Da sempre, la mia fortuna, la mia salvezza è stata la creatività, anche durante la pandemia: ho
interagito, attraverso uno schermo, con Bambini di 3 anni, coinvolgendoli in compiti di realtà originali: all’interno della LEAD, ho studiato e coinvolto i Piccoli con UDA a loro misura, mai sperimentate prima, mi sono inventata, da sola, Lezioni che ho elaborato sulla piattaforma di
Rai Scuola, un’opportunità preziosa in quel periodo.
Dopo la fase più acuta del Covid, pensavamo di uscirne migliori, ma quel che resta è solo l’intenzione: la solidarietà, l’amore, la disperazione, l’ironia, le lacrime, l’accoglienza, la sorpresa, il sorriso, le carezze, la giustizia, non sono previste nell’ottica del mercato in cui la Scuola è sprofondata, deformata, logorata dal profitto, dall’interesse individuale, dal business, dal curriculum ricco di incarichi, riconoscimenti, immagini, attestati e lauree a pagamento.
Questi, i valori dominanti in un deserto di apparenza e di ipocriti, aridi legami affettivi.
La Scuola si sta trasformando in un Format che abbaglia gli sprovveduti, azzera il Futuro e per Format non intendo quello di “Amici” di Maria De Filippi che, pur essendo “prodotto commerciale”, per valori umani batte tutti (ci lavorerei volentieri anche solo pulendo bagni):
anche lì, hanno capito che c’è urgente bisogno di un nuovo Umanesimo, per dare luce a quel Futuro che quotidianamente si incontra nelle aule.
Umanesimo che certo non si trova neanche nelle connessioni social, tra gruppi whatsapp e pagine dedicate: la Scuola svilita, ridicolizzata, sminuita, da soggetto-oggetto di migliaia e
migliaia di inutili, stupidi e stressanti messaggi, a qualunque ora del giorno e della notte, a prodotto in vetrina pubblicizzato da improvvisati esperti marketing.
Una valanga di deliranti parole scritte in modo convulso che, quotidianamente, deprimono il ruolo educativo della Scuola e annientano valide proposte o strategie vincenti, per non parlare di docenti che, forti del ruolo assunto, si contaminano, stupidamente, con l’utenza, creando ancor più confusione e vanificando il valore, il rispetto, la fatica di ignari colleghi.
La netiquette è un optional.
La maggior parte delle connessioni scolastiche sono distruzione, sono l’inesistente degli sguardi distratti sul nulla.
La cronaca, anche recente, lo conferma.
Ma io confido ancora nella rivincita dell’invisibile, dell’empatia, dell’essenza, della solidarietà, confido nel ritorno, come diceva Don Milani, di una Scuola di “Scienza e Tenerezza”.
È ciò che auguro a chi resta auspicando, considerati i tempi di crisi, difficoltà e “fame”, che si inizi a dare un segno etico, tangibile, un segno che dovrebbe essere proprio di un ambiente educativo, un segno di discontinuità.
Iniziando, per esempio, ad eliminare dalla Scuola l’obsoleto rito della questua destinata a luccicanti regali, fasci di fiori, griffes.
Questua per la quale, a seconda di chi, di quanti, di come, c’è chi decide e chi ancora borbotta.
E’ mortificante.
La Scuola non può permettersi distinzioni, è promotrice e portatrice di Inclusione:
per celebrare chicchessia, è sufficiente un piccolo simbolo, un ricordo dell’Istituzione.
La Scuola è e deve restare esempio dei valori proclamati e scritti sui documenti con i quali si presenta e sui quali relaziona.
E se proprio si devono elargire doni, che abbiano un senso, che siano raccolte rivolte a promuovere e sostenere iniziative utili ha chi è in difficoltà o che abbiano ricadute positive per tutti, per il territorio.
Anche solo l’acquisto di croccantini per i canili, sarebbe già significativo e, soprattutto, educativo.
I veri doni sono l’autenticità di un “Come stai?”, di un abbraccio, di una telefonata, di un augurio, di un sorriso.
Privatamente, poi, ognuno è libero di agire come meglio crede.
Io lascio.
Sarei potuta restare, ma avrei chiesto troppo a me stessa, alla mia salute psico-fisica che non vive più di mezze misure, di mezzi rapporti, di mezze parole, di arroganza e ipocrisia.
Per me, sottolineo per me, è diventata una fatica estenuante.
Sarebbe ora che ne valga la gioia e lo spiega bene Mario Raul de Morais Andrade in “La mia anima ha fretta”.
Non sono e non mi sono mai sentita migliore di nessuno, sono solo diversa, libera, aperta, diretta come, negli anni, mi hanno insegnato i Bambini che, nel cuore, imito volentieri:
dimenticano le parole, ma ricordano sempre come li hai fatti sentire.
E, tra di Loro, non mentono.
Provo gratitudine per ogni singolo/a Collega, ogni singolo/a Dirigente, Collaboratore/trice scolastico/a, Personale di segreteria, con cui ho lavorato in questi anni, da ognuno ho imparato, con qualcuno ho sorriso, con altri sofferto, con altri ancora condiviso emozioni, dolori ed esperienza di vita: tutti, ma proprio tutti, hanno attraversato il mio cuore, lasciandone tracce, alcune sono impronte, altre cicatrici.
Amo e continuerò ad amare sia le une che le altre.
Provo gratitudine per ogni Formatore, Formatrice che mi ha illuminata ed entusiasmata.
Provo gratitudine per i miei Figli, Celestina ed Antonio che già nella mia pancia hanno capito il Compito della mamma, hanno capito che avrebbero condiviso attenzioni ed amore con tanti altri Bambini che, anno dopo anno, si avvicendavano nella mia vita.
Essere Figli di una maestra è una rottura di palle: lei ti raddoppia i compiti, le regole, ti inonda di libri, di attenzioni, è meno indulgente e, a volte, diventi cavia per capire se sai riconoscere la sofferenza, se sai cosa significhi l’emozione di un tramonto o l’incanto di un Cielo stellato.
Lei fa sparire i tuoi giocattoli per portarli a Scuola.
E, quando torna a casa, non proferisci parola per almeno 15 minuti, capisci che ha bisogno di silenzio.
Provo gratitudine per Carlo, anche essere il marito di una maestra come me è stato
impegnativo, ho approfittato della sua genialità: lui ha progettato e realizzato le più belle scenografie, ha montato video per le occasioni importanti, mi ha aiutata nella realizzazione di addobbi straordinari per ogni stagione, ogni festa, ogni occasione.
Mi ha sempre ascoltata, ha conosciuto ogni alunno attraverso i miei racconti, la Scuola è sempre stata Una di Famiglia a casa nostra trasformata spesso in laboratorio, tipo quello di Babbo Natale.
Provo gratitudine per il Doc, il medico che mi ha salvata e mi ha seguita in un periodo complicato.
Questo.
Provo gratitudine per Roberta, l’AMICA/Collega/ Formatrice che tutti vorrebbero, un oceano di cultura, di empatia, di saggezza, che dal 1991 è stata sempre presente nei momenti “scolastici” e “di vita” più importanti e delicati.
Roberta è stata anche la maestra di mio Figlio.
Se, su Rivista Didattica.com è stato pubblicato il Periodico “Ricerc-azione”, una delle attività, prevista in un’ampia Iniziativa di coordinamento, a costi zero per la Scuola, elaborata e realizzata da me, lo devo proprio a Roberta che, oltre a pubblicare i suoi lavori innovativi, si è occupata anche delle mie sperimentazioni.
E pensare che appartenevamo a due Istituzioni diverse.
Provo gratitudine per tutte le Colleghe virtuali con le quali mi sono confrontata, soprattutto Claudia ed Anna Maria che mi hanno insegnato molto ed offerto spunti, attraverso le esperienze che hanno condiviso.
Provo gratitudine per qualunque Aula spoglia, triste, abbia incontrato, mi ha dato la forza di ricominciare più determinata: l’educazione deve passare per la Bellezza, per la cura, innanzitutto dell’ambiente.
Ho tinteggiato, ho dipinto, attaccato cose, stagioni e favole, ho pulito vetri, porte, ho persino spruzzato lo Chanteclair all’interno dei termosifoni, seguito da spazzola e secchi d’acqua.
Nel mio armadietto non mancavano mai prodotti di pulizia, ho curato sempre gli spazi scolastici come fossero quelli di casa.
Dopo le lezioni, ogni volta, i Bambini ed io lasciavamo l’aula ordinata.
Provo gratitudine per tutte le manine che ho sfiorato, che ho spennellato di tempere, quelle impronte colorate che sapevano di gioia e speranza.
Provo gratitudine per il mio cartolibraio che ogni volta che mi vedeva faceva la ola.
Provo gratitudine per la magica canzone “Caramella” che riusciva a calmare i più piccoli nel momento del distacco.
Provo gratitudine per ogni volta che un/a Bambino/a mi ha chiamata Mamma.
Tante.
Provo gratitudine per tutte le Famiglie dei miei Bambini.
Provo gratitudine per chi mi ha combattuta e denigrata, mai a viso aperto, sul NULLA.
Quelle ferite alla schiena sono stati innesti di nuove Ali per volare alto, tipo Jonathan Livingston, altro mio grande ispiratore.
Preghiere di gratitudine al Cielo, a qualunque Dio esista.
Provo solo gratitudine.
Un pensiero va alla piccola Elena, la Bimba, l’Angioletto di Mascalucia e alle sue Maestre: ho condiviso le vostre lacrime, ma credo che il vostro dolore sia fuori dalle mie umane possibilità.
Vi voglio bene.
Lascio qui, piangendo sorrisi, fumando l’ennesima sigaretta, ripulendo stanze di vita, facendo spazio a qualcosa di NUOVO, continuo ancora a rispondere “Sì” all’invito di una canzone di
Renato Zero:
“Ti andrebbe di cambiare il mondo? Non abbandonare i sogni se puoi. Dai loro forza e consistenza e poi lascia siano loro a prenderti…”
Cielo permettendo, questi non sono Titoli di coda, ma Titoli di testa di un panorama di sogni e tanto altro ancora da imparare, da studiare, da creare, ma “Senza chiedere permesso”, come scrive Michele Bravi.
Profondamente, Grata a Tutto e Tutti.
Finalmente, Libera.
“Natura diverso gaudet”
Felicità!
Rossella, 30 Giugno 2022
#TheEnd

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