Quando gli studenti chiedono innovazione nella scuola chiedono più relazione intergenerazionale, più comunicazione e più ascolto, e soprattutto un modo nuovo, inedito e non conformistico di guardare il mondo, quello che la cultura dovrebbe sempre essere e che l’autentico sapere porta sempre con sé. Non chiedono invece “ambienti di apprendimento innovativi” (quelli glieli fanno chiedere gli adulti, che ci guadagnano sopra), chissà quali nuove tecnologie (che conoscono meglio degli adulti, che si rendono ridicoli quando tentano di scimmiottarli), o ‘flipped classroom’, ‘cooperative learning’ e altre metodologie standardizzate, astratte e alla moda.
Quando si leggono lettere “di studenti” dove c’è scritto “vogliamo una didattica innovativa”, “basta con la didattica frontale trasmissiva”, “vogliamo una didattica attiva e cooperativa”, “vogliamo tabelle descrittive al posto dei voti”, qualunque insegnante non può fare a meno di sorridere: quale studente infatti parla così? Nel migliore dei casi, vediamo qui chiaramente la mano di qualche adulto cui fa comodo far dire certe cose ai giovanissimi (come se nelle scuole esistesse ancora una didattica trasmissiva uidirezionale e insegnanti che parlano senza curarsi di chi hanno di fronte); nel peggiore, una vera e propria contraffazione.
Cosa sta succedendo? Perché tanta confusione, non di rado indotta ad arte, nei discorsi che si fanno sulla scuola?
La risposta probabilmente è: i soldi.
Potrebbe essere un esercizio interessante, infatti, provare a immaginare come sarebbe oggi il dibattito sulla scuola, sulle sue necessità e le sue prospettive, se non ci fosse nemmeno un euro del PNRR da spartirsi in “innovazione” e “formazione”.
Gruppo La nostra scuola
Associazione Agorà 33

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