Ma che cos’è una parola? Servono ancora le parole oggi? Servono ai giovani? E a noi tutti che adolescenti non siamo più?

Ma che cos’è una parola? Servono ancora le parole oggi? Servono ai giovani? E a noi tutti che adolescenti non siamo più?

Ma andiamo con ordine, così posso spiegarVi come sono arrivato a queste domande filosofiche delle cento pistole. Si perché mi sono posto dei problemi e, come al solito, non ho trovato che soluzioni parziali le quali a loro volta sono state incubatrici di molte altre domande senza risposta. Ho solo concluso, felicemente, che devo farmele. Come spero sinceramente Voi al termine di questa lettura, da qualunque punto di vista mi stiate osservando.


Ventiduesima settimana della lingua italiana nel mondo. L’italiano e i giovani. Come scusa? Non ti followo, è disponibile da ieri sul sito dell’Accademia della crusca. Gratuito, per tutti. Duecentotrentasei pagine ben fatte, che sarebbe utile consigliare a tutti. https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/litaliano-e-i-giovani-come-scusa-non-ti-followo-il-libro-edito-dall-accademia-in-occasione-della-ven/29993
Per il sottoscritto, le giornate piene di questa settimana sono state l’occasione per compiere un viaggio nella parola. Dapprima ci sono state le parole della pace, quelle del Festival ‘La parola che non muore’ di Bagnoregio e Montefiascone, cui ho partecipato. https://www.ilmessaggero.it/viterbo/a_bagnoregio_torna_la_parola_non_muore-6987018.html


Ho incontrato ragazzi e ragazze dei licei di alcune città italiane e alla fine eravamo d’accordo su una cosa. Non è poco, La cosa su cui eravamo d’accordo è che le parole contano. Eccome. Quelle della pace contano moltissimo, perché la guerra è un’assenza di parole, un silenzio violento che nasce da parole non dette, o dette male, o semplicemente non comprese. Se le parole fossero quelle giuste non ci sarebbe bisogno di fare la pace, perché non si farebbe la guerra. La pace nasce negli occhi, e nelle parole, di chi guarda e parla. E quelli studenti erano attenti alle parole, eccome. Solo che per loro certe parole hanno un significato diverso dal nostro di adulti, viceversa certe nostre altre sono incomprensibili, alcune altre sono inscindibili da musica e immagini e noi non ce comprendiamo a pieno le accezioni e la profondità, fermandoci in superficie.


Poi tornando a Siena, mi son letto il volume. E ho capito perché da anni faccio quel che faccio. Lavorare sulla lettura e la scrittura con i giovani. Lo faccio perché è assolutamente necessario. D’accordo, è cambiata la letteratura, perfino l’uso stesso che se ne fa, perché, citando il volume ‘è il perimetro stesso della scrittura che non coincide più con i confini dell’intellettuale-letterato, ma calamita nella sua orbita anche figure che provengono da altri settori, come quelli dello spettacolo, delle arti visuali, della musica e così via’. La lingua poi, è chiaramente stratificata tra livelli legati all’italiano che si parla sui media, espressioni dialettali e gergali, in alcuni casi da iniziati, e espressioni derivanti dalle lingue straniere.


D’accordo, alcuni non capiscono perché vi sia quello che qualche commentatore ha definito un inutile e modaiolo accanimento infantile dei boomer nel cercare di ringiovanire pensando di parlare il ‘giovanilese’. Ma in realtà conoscere le parole e le fonti dell’espressione giovanile non è una moda, non è un rompicapo da boomer, ma è oggi assolutamente necessario. Vuoi per comprendere un segmento di popolazione che è determinante per le sorti di questo Paese, vuoi per entrare in relazione con le loro aspirazioni e i loro disagi (come si fa a farlo senza condividere delle parole, nuove o rinnovate nel senso che esse siano), vuoi per trovare punti di contatto tra le loro parole e le nostre di scrittori, giornalisti, insegnanti, genitori.


È come trovarsi davanti non ad una sola, ma a una molteplicità di Stele di Rosetta, ciascuna proveniente da un canale diverso (social, canzone, media, mainstream, fumetti, cinema e piattaforme indipendenti) ciascuna capace di traslitterare e codificare una diversa modalità di accesso alla lingua italiana. Ed è molto utile aprire gli occhi su questo mondo, o perlomeno provarci.

Non è facile, ma come dicevo necessario. In primis per chi coi giovani ha a che fare tutto il giorno, ad esempio gli insegnanti, che devono fare da ponte, anzi da porta di ingresso, sull’italiano colto, sull’italiano dei classici e dei saggi. È la scuola il luogo dove si viene a conoscenza della potenza creativa del linguaggio e della parola, ma anche di tutte le pressioni ambientali, storiche e normative cui l’italiano ha dovuto aderire e adattarsi nel tempo per diventare quello che è oggi, uno ‘standard’ di comunicazione. È a scuola, come del resto anche in altri contesti sociali e aggregativi, dove i giovani non devono essere intesi’ come portatori di un “italiano selvaggio”, ma come agenti dell’innovazione linguistica: un’innovazione di cui sono parte e della quale devono rendersi consapevoli per imparare a gestire in modo responsabile le proprie risorse comunicative ed essere invogliati a estenderle, in ampiezza e profondità’.


Insomma, una lettura che raccomando. Con un’avvertenza, che è quella, contro -intuitiva, di partire assolutamente prevenuti e scettici, per lasciarsi così ancor più conquistare dalla possibilità di conoscere altri punti di vista espressivi, e soprattutto l’affascinante fenomeno in presa diretta di una lingua in evoluzione. Se la lingua evolve, o quanto meno ci prova, vuol dire che si ritiene importante comunicare, che si ritiene ancora la parola un valore. D’altronde, non dobbiamo per primi noi avere chiusure e pregiudizi e così fare quello che imputiamo, in una visione un po’ stereotipata, ai giovani stessi: ovvero essere superficiali, chiusi in una bolla linguistica autoreferenziale e dominata dagli algoritmi.


Ma il viaggio non è finito, e termina a Sarzana, con le parole del civismo e della politica. Le parole servono anche li. E anche in questo caso i giovani le interpretano in modo sorprendente, (sorprendente in fin dei conti poi solo per chi dei giovani non conosce l’enorme potenziale) Se ne è interessata anche la stampa nazionale, perché è un fatto che in qualche modo travalica la politica. I media ne hanno parlato come di un’OPA dei giovani sul centrosinistra locale, visti i magri risultati conseguiti alle ultime elezioni, ma quel che interessa a chi scrive è la valenza generale delle parole usate da coloro che hanno firmato una lettera- manifesto all’attuale classe dirigente. ‘Oggi e soprattutto nel 2023 questo collettivo è chiamato ad assumersi le proprie responsabilità: ai giovani non si chieda di parlare solo “dei giovani” e“ai giovani”, ma di farsi carico di preparare il futuro, per tutti’. Sacrosanto in ogni campo. Questo non lo si può fare che usando parole, quelle giuste, che tutti possano comprendere e condividere, facendo uno sforzo inedito, da entrambe le parti, che il momento di profondo cambiamento sociale che stiamo vivendo richiede. Davvero.