
I disturbi del neuro-sviluppo: il quadro autistico, l’evoluzione della diagnosi dal 1943 alla DSM-5
Il repertorio dei disturbi del neuro-sviluppo racchiude in sé molteplici disturbi spesso compartecipanti nello stesso individuo, un termine di recente acquisizione e che è ancora in fase di discussione eziologica, matura la sua affermazione nella stesura del DSM5, racchiude in sé la disabilità intellettiva, i disturbi della comunicazione, il disturbo dello spettro autistico, il disturbo da deficit di attenzione e/o iperattività, il disturbo specifico di apprendimento e i disturbi di apprendimento. Caratterizzato dall’insorgere nelle prime fasi dello sviluppo del bambino, il disturbo del neuro-sviluppo corrisponde ad una vera e propria barriera all’apprendimento fino alla compromissione globale, nei casi più gravi, delle abilità sociali e comunicative a causa di un disordine funzionale a carico dell’aria di determinate aree cerebrali che inficiano le autonomie personali, sociali, scolastiche e lavorative.
Gli studi sulle basi biologiche
Il manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5, 2013) sostiene l’utilità nella ricerca e nella clinica di individuare raggruppamenti di disturbi con fattori comuni, questa posizione pone le basi per un intervento efficace qualora non vi è un’eziologia specifica con decorso e un intervento educativo e riabilitativo univoco come avviene, appunto, con i disturbi del neurosviluppo. Nonostante i progressi compiuti nelle neuroscienze e nella conoscenza del quadro neuroevolutivo le cause genetiche imputabili a questi disordini non sono ancora nettamente definibili in un campo specifico dell’eziologia. Categorizzare il singolo disturbo in un’ottica di insieme ha il vantaggio di rapportare l’analisi del singolo individuo all’interno della stessa categoria diagnostica sull’analisi di un’assessment delle competenze affinché più che “curare alla guarigione” si effettui un percorso di fioritura esistenziale.
Evoluzione della diagnosi: dal 1943 alla DSM-5
Caratterizzato da disordini persistenti della comunicazione sociale, dell’interazione sociale in molteplici contesti, compresi quelli deputati alla reciprocità sociale, alla comunicazione non verbale utilizzata per le interazioni interpersonali. Il pensiero autistico rivela un range articolato di situazioni compartecipanti che ne determinano il profilo caratterizzante che in aggiunta alle problematiche legate alla comunicazione sociale determinano la presenza di un repertorio di comportamenti, interessi o attività limitato e ripetitivo. Gli studi svolti in merito all’autismo hanno portato ad un’evoluzione della sua classificazione all’interno delle diverse stesure dei manuali diagnostici di riferimento: DSM. L’autismo era stato originariamente descritto come una forma di schizofrenia infantile e il risultato di una genitorialità fredda, sulla base degli studi dallo psichiatra austro-americano Leo Kanner del 1943, sui quali la DSMII, nel 1952, trova terreno feritile per la classificazione di autismo quale condizione psichiatrica caratterizzata da schizofrenia infantile e distacco dalla realtà riconducibile ad una deprivazione emotiva riconducibile allo stile genitoriale che Bruno Bettelheim chiamerà con la denominazione “madri frigorifero”. Negli anni 60 e 70 tale posizione sarà smentita attribuendo all’autismo una base biologica radicata nello sviluppo del cervello, con la DSMIII DEL 1980, l’autismo ha una diagnosi a sé ed è descritta come disturbo pervasivo dello sviluppo con le seguenti caratteristiche: mancanza di interesse per le persone, gravi menomazioni nella comunicazione e risposte bizzarre all’ambiente, tutte in via di sviluppo nei primi 30 mesi di vita. Nel 1987 la DSMIII fu modificata attribuendo ulteriori criteri diagnostici attribuendo il valore lieve al disturbo non specificato, PDD-NOS. Dalla diagnosi di autismo definita come una serie di disturbi dello sviluppo si è passati poi ad una condizione con gradi di compromissione ad ampio spettro. Insieme a queste mutevoli visioni, anche i suoi criteri diagnostici sono cambiati nel tempo. Nel DSMIV (1994-2000) compare il termine “spettro” entro il quale sono elencate cinque condizioni distinte: PDD-NOS, disturbo di Aspanger, disturbo disintegrativo dell’infanzia, CDD, sindrome di Rett. Con l’ultima versione, il DSMV, si adotta l’idea di uno spettro “continuo”, non trovando un’eziologia chiara e unica per tutte le forme di autismo si è optato per la definizione di disordine onnicomprensivo in un continuum tra la forma lieve e quella grave, introducendo il termine “disturbo dello spettro autistico”.
Dal punto di vista strettamente normativo dell’attuale legislazione scolastica italiana, le attuali normative che tutelano l’inclusione scolastica per i disturbi del neuro-sviluppo si dispiegono in un campo applicativo che va dal D.lgs 66/2017 al Decreto Interministeriale n 182 del 29 dicembre 2020. Con la declinazione degli organi afferenti la disabilità dal Gruppo di Lavoro Operativo, alle quali partecipa la comunità educante interessata e coinvolta al progetto dell’alunno con disabilità all’istituzione del Gruppo di Lavoro per l’Inclusione Regionale per la ripartizione delle risorse organiche. Di nuova applicazione è il Decreto Interministeriale 182/2020 che con l’introduzione del debito di funzionamento rivede una nuova formulazione della ripartizione delle risorse umane per l’anno successivo sulla base di livelli di autonomia e competenza per le certificazioni che esplicitano la gravità ai sensi del comma 3, art.3 della Legge 104/1992, i disturbi del neuro-sviluppo, essendo in potenziale aumento, saranno i più bersagliati da questa riforma che volge più verso un taglio del personale specializzato anziché ad un’evoluzione normativa di carattere psicopedagogico.

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