
I social hanno cambiato, probabilmente irrimediabilmente cambiato, il modo in cui le persone che li frequentano – alcuni miliardi – recepiscono un’informazione
Da un po’ di tempo volevo scrivere una cosa molto semplice. I social hanno cambiato, probabilmente irrimediabilmente cambiato, il modo in cui le persone che li frequentano – alcuni miliardi – recepiscono un’informazione. Sto su Facebook, vado a memoria, da undici anni. Qualcosa in più. Da undici anni seguo la scuola, e da trentasette faccio questo mestiere duro e bello e duro, il giornalista.
Ho sempre usato Facebook come una bacheca di informazioni, ho nutrito il mio profilo con decine di informazioni quotidiane e le ho offerte a chi, via via sempre più persone, in gran parte donne e uomini di scuola, passava dalle mie parti. Ricordo ancora i primi scontri tra iscritti alle Graduatorie Gae e vincitori del concorso Profumo, qualcuno rammenterà: tornava un concorso nazionale a cattedre dopo 13 anni di assenza.
Ho lasciato scorrere molto tempo prima di iniziare a esprimere posizioni mie, volevo essere certo che anche il mio parere – oltre alla notizia, verificata, che offrivo – fosse documentato e quindi utile. Che fossi sufficientemente preparato per avere qualcosa di utile da dire per chi mi leggeva.
Tuttavia, ho sempre visto che su Facebook da una parte era saltata la classica divisione della parola scritta che ancora oggi troviamo sui giornali, ma anche sui siti dei giornali e in tv: la cronaca e il commento. Due cose diverse. Su Facebook si sono nel tempo rarefatte le notizie ed è emerso il commento come prevalente forma di comunicazione.
Un commento che si dimenticava della notizia da cui era partito, spesso. Dall’altra, le persone recepivano il breve testo (post) o la riproposizione di un articolo scritto altrove e ripostato o un vero e proprio articolo realizzato per il media Facebook sempre e comunque come una conferma o una negazione del proprio punto di vista, di più, della propria necessità, della propria disperazione e quasi mai come un’informazione. Perché scrivo questo? Perché continuo a pensare che il buon giornalismo – che non è mai neutrale, notarile, ma deve essere sempre onesto, dichiarare il punto di vista e far emergere da dove si prendono le informazioni – serva perché offre notizie certe e non perché le sposa.
Non solo non sono un Cinque stelle (e non sono un Pd, un Leu, uno della Lega, sono solo un giornalista che verifica e aggiorna le sue convinzioni ogni mattina), ma nei confronti dei Cinque Stelle scolastici ho esercitato un’azione critica davvero forte. Se posto un comunicato del M5s – si chiama comunicato, non è un articolo Chiara Berrettini, è un comunicato di una forza politica – è perché lì dentro ci sono notizie e un punto di vista importante per il mio lettore (nello specifico, il docente precario in prima lettura e il mondo della docenza più in generale). Quel comunicato dice: non vogliamo il corso-concorso, la stabilizzazione per anzianità e titoli. Saperlo, è importante. Per questo lo metto nella mia bacheca. Ma metterlo nella mia bacheca – per me – non vuol dire essere d’accordo. Non si offrono solo le notizie su cui “si è d’accordo”.
Si offrono le notizie che sono notizie, sapendo chi è il tuo lettore (gratuito o pagante che sia). Non sono d’accordo sul punto di vista – infantile, demagogico – dei Cinque Stelle sul Patto con il precariato che il ministro Patrizio Bianchi sta provando a costruire. Ma so che è giusto dare la notizia del punto di vista dei Cinque Stelle.

Corrado Zunino – Inviato a Repubblica. Responsabile scuola e università. Preti contro, Sciacalli. Newsletter Dietro la lavagna.
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